Di seguito e nella sezione Contributi l’intervento di Francesca Scarpato del collettivo La Scintilla di Trieste , prima firmataria del nostro appello, all’ultima Assemblea dei delegati della CGIL Friuli Fenezia Giulia.

Pasian di Prato, 21 novembre 2008

Care compagne, cari compagni,
le mobilitazioni in difesa della scuola e dell’istruzione pubbliche in poche settimane sono riuscite a mettere in difficoltà un governo che sembrava essere sospinto da un incessante vento in poppa; mobilitazioni che hanno sconvolto l’agenda politica di un esecutivo che, per la prima volta dopo mesi, ha iniziato finalmente a scricchiolare pesantemente nei sondaggi, a dimostrazione della bontà del vecchio adagio, cui nostalgiche come la sottoscritta continuano a essere affezionate: quello cioè secondo cui solo la lotta paga.

La difesa di un servizio pubblico è diventata l’obiettivo di un movimento che ha così messo in discussione i dogmi del pensiero unico; le basi del capitalismo liberista hanno iniziato, dunque, a essere erose non solo dalla crisi economica, ma anche dal senso di una mobilitazione che ha saputo trovare il modo di opporsi all’abusato adagio del “privato è bello”.
L’abbiamo capito: il pensiero dominante può essere messo in discussione, e se ciò è successo in un’università in cui da anni non accadeva nulla di significativo, vuol dire che ci sono tutte le condizioni affinché questa critica si generalizzi e si estenda nella società.
Ma cos’è successo concretamente nel mondo dell’Università?
È successo che la protesta ha avuto un taglio trasversale, mettendo per la prima volta dalla stessa parte della barricata studenti e ricercatori, docenti e personale tecnico e amministrativo.
Le cifre della partecipazione sono state rilevanti, soprattutto per quanto riguarda la componente studentesca che da tempo sembrava assopita e indifferente alle sorti dell’Università pubblica.
Una protesta che si è articolata in varie forme: sit-in di proteste, presidii dentro e fuori l’Università, assemblee generali, ma ancora occupazioni di facoltà, lezioni in piazza e cortei, tutti utili momenti di confronto in cui si è verificata una disponibilità inedita – quella di affrontare le questioni specifiche dell’università e dell’istruzione all’interno dei problemi più generali che investono in questo periodo tutta la società.
Lo slogan “la vostra crisi non la paghiamo” dà la sensazione che di fronte a una brusca precipitazione delle contraddizioni globali c’è voglia di non aspettare passivamente che la crisi ci travolga, c’è la voglia di attivarsi, c’è la voglia di provare a mettersi di traverso.
Nelle assemblee di queste settimane si è riscontrata, dunque, una disponibilità concreta a discutere temi più generali che riguardano il mondo dell’istruzione, dalle elementari alle medie superiori, all’università: la percezione è, infatti, quella che o li si affronta tutti assieme, o si rischia, questa volta, di soccombere definitivamente.
Da questo punto di vista, il ruolo del movimento sindacale può essere decisivo: la Cgil, nelle prossime settimane, può e deve provare a spiegare che la generalizzazione delle proteste nei diversi settori è l’unico strumento per mettere in discussione le politiche del governo e, con esse, il governo stesso.
Una Cgil che deve anche sapere cogliere e fare propria l’inquietudine delle tante e dei tanti che in queste settimane si sono mobilitati e che sono accomunati da un’unica certezza – quella di un futuro incerto, la certezza di un futuro precario.
La Cgil non può ignorare l’ampiezza di questo movimento e le sue ragioni: per questo i bisogni dei precari devono stare in testa, non in fondo, alle piattaforme sindacali, proprio perché la battaglia contro la precarietà può unificare, può riuscire a congiungere la lotta dei giovani alle battaglie delle lavoratrici e dei lavoratori.
C’è bisogno che le prossime settimane preparino uno sciopero generale che non sia per nulla tradizionale. Questa volta non ci si può accontentare della sfilata rituale, ma si devono creare le condizioni affinché i cortei che creeremo diventino occasione per tutte le realtà in lotta di spiegare le ragioni della propria mobilitazione.
Al posto del solito percorso si dovrebbero prevedere delle tappe fondamentali che tocchino i luoghi simbolo della crisi: le banche, ma anche le scuole e le università.
Le lezioni in piazza sono state lo strumento con cui l’università si è aperta all’esterno: si prevedano delle lezioni brevi tenute dai ricercatori, dagli studenti e dai lavoratori che parteciperanno al corteo, affinché quelli siano i luoghi in cui provare a esprimere i propri motivi di disagio e le ragioni della partecipazione.
A questo sciopero dobbiamo prepararci: per questo la Cgil dovrebbe portare i propri operai a parlare nelle assemblee all’università e fare entrare i giovani dell’università nelle assemblee sui luoghi di lavoro, proprio perché lo sciopero non dev’essere solo l’accumulo semplice delle singole categorie che sfileranno ordinatamente una dietro l’altra fino al comizio finale – varrebbe la pena, per una volta, di provare a far sparire le distinzioni e parlare all’unisono.
All’università è diffusa la consapevolezza che la nostra non sarà una battaglia di breve durata: il percorso sarà lungo e in questo percorso dovremo individuare delle tappe in cui verificare la tenuta del movimento. Quindi ben venga la giornata dello sciopero generale del 12 dicembre, e ben venga anche la proclamazione di uno sciopero generale a febbraio già in cantiere oggi per febbraio da parte della Fiom e Funzione pubblica.
Una mobilitazione di questo genere deve avere la certezza che la scelta della Cgil è la scelta di un sindacato che ha capito che in contesto di crisi economica generalizzata, in cui a farne le spese rischiano di essere i soliti noti, non c’è più davvero nulla da concertare, ma c’è solo la necessità di estendere la lotta: è proprio attraverso la lotta che abbiamo dimostrato in queste poche settimane quanto la presunta pervasività delle destre nel nostro paese fosse meno profonda di quanto non ci fossimo immaginati.
La consapevolezza di poter contare su un impegno costante del principale sindacato italiano darà maggior forza alle ragioni di questo movimento, così come la Cgil troverà un utile supporto in un movimento che, anziché fare passi indietro e spegnersi, continuerà ad avanzare e a estendersi e a resistere.
Perché una cosa dovremmo averla capita: quando la Cgil decide di stare a fianco dei giovani e dei lavoratori non è e non sarà mai isolata, anche se decide di scendere in piazza da sola. Si isola chi diserta la lotta, non chi decide di assecondarla. È dell’eventuale distanza dai giovani che protestano che dovremmo rammaricarci, non della distanza che Cisl e Uil hanno voluto creare.
Il 12 dicembre non sarà isolato chi sarà in piazza, ma solo che avrà deciso di ritirarsi nelle segrete stanze e di continuare a confabulare nei corridoi privati di Palazzo Grazioli.